Harvard guida la resistenza contro la morsa trumpiana
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🖊️ Francesca Antonucci
May 2025
Da quando è entrato alla Casa Bianca, Donald Trump ha da subito messo in chiaro le sue intenzioni: riportare gli Stati Uniti all’antico splendore. Tra richiami a valori e famiglie tradizionali, guerre commerciali combattute a colpi di dazi, il tycoon ha dichiarato guerra aperta a tutto ciò che viene racchiuso nella sigla DEI: Diversity, Equity and Inclusion, ovvero diversità, equità e inclusione.
Paradossalmente, la DEI è nata proprio negli Stati Uniti, sotto un’altra presidenza repubblicana: quella di Ronald Reagan. Fu in quel periodo che, analizzando la composizione della forza-lavoro, emerse con chiarezza un dato innegabile: i cittadini statunitensi non erano più (solo) maschi, bianchi e nati sul suolo statunitense. Il tessuto sociale e produttivo era molto più variegato. Da qui la DEI è divenuta un tema globale.

Ronald Wilson Reagan, the 40th president of the United States
Ma negli Stati Uniti di Trump, la parola d’ordine è “dietrofront”.
Già durante la campagna elettorale, il Presidente aveva accusato le iniziative DEI di minare la cultura americana. Una volta eletto, il suo primo bersaglio sono stati proprio gli uffici pubblici: ad esempio, è stata revocata l’indicazione che invitava le scuole e gli enti pubblici a permettere l’uso dei bagni in base all’identità di genere.
Il settore privato ha seguito a ruota. Molte aziende, come Meta e Amazon hanno iniziato a rimuovere ogni riferimento alla diversità nei loro report e a smantellare i team dedicati alle politiche DEI, per allinearsi al contesto politico e legale del paese. Infine, Trump ha passato al setaccio anche le Università – soprattutto quelle all’interno del circuito Ivy League – e ricattandole ha ordinato loro di rimuovere ogni riferimento a temi DEI, accusandole di discriminare studenti bianchi e alcune minoranze, come quella ebraica.
La prima a essere colpita è stata la Columbia che, dopo aver subito la minaccia di un taglio da 400 milioni di dollari, ha subito adottato nuove regole che permettono l’ingresso della polizia nei campus per arrestare studentesse e studenti che manifestano, i quali non potranno più indossare mascherine per coprire il proprio volto durante le proteste. Ha inoltre fortemente limitato il diritto a manifestare, citando una presunta “minaccia antisemita” emersa durante le proteste pro-Palestina.

Pro-Palestinian student demonstrators outside Columbia University’s Low Library
Dalla Columbia, è stata la volta di altre prestigiose università, fino a che Trump non ha incontrato l’ostacolo di Harvard. A questa è stato chiesto, pena la cancellazione di fondi pubbici pari a 2,26 miliardi di dollari, di riformare i criteri di assunzione del personale e di accettazione delle candidature da parte delle studentesse e dei studenti rimuovendo “tutte le preferenze basate sull’etnia, colore della pelle, religione, sesso o origine nazionale”. Inoltre, il governo impone di rivedere la procedura di selezione di studentesse e studenti internazionali per evitare l’ammissione di persone “ostili ai valori americani”, e assumere un ente di controllo che riveda programmi e dipartimenti al fine di prevenire episodi di antisemitismo, oltre che eliminare ogni riferimento e politiche DEI.
Il Presidente di Harvard, Garber, però ha deciso di non piegarsi alle richieste federali. In una lettera pubblicata sul sito ufficiale dell’università ha dichiarato che queste richieste vanno oltre i poteri federali e violano il Primo Emendamento del regolamento dell’Università.
Il gesto di Harvard ha dato via a una reazione a catena e altre 100 Università del paese, tra cui Princeton e Brown, si sono opposte all’ingerenza federale e, insieme, hanno firmato una lettera pubblicata dall’American Association of Colleges and Universities. Harvard ha infine annunciato di voler fare causa al governo, il quale ha risposto in un’email “Il carrozzone dell’assistenza federale a istituzioni come Harvard, che arricchiscono i loro burocrati lautamente pagati con le tasse delle famiglie americane in difficoltà, sta per finire.” Non si è fatta attendere nemmeno la risposta del Presidente Trump, il quale sul suo social Truth ha scritto “Porremo fine alle esenzioni fiscali ad Harvard. È ciò che si meritano!”

Fonte: POLITICO
Tuttavia, per capire davvero cosa stia accadendo è necessario ricordare che la ricerca è sì costosa ma è un bene pubblico: basti pensare ai vaccini che hanno cambiato il modo di affrontare molte malattie o alle nuove tecnologie che usiamo ogni giorno. Per questo, anche Università private, come quelle della Ivy League, hanno bisogno di finanziamenti e hanno bisogno di finanziamenti pubblici. Gli investimenti privati vorrebbero avere un ritorno economico immediato, come ha spiegato il rettore di Princeton. Mai nessun Presidente o amministrazione, di qualsiasi colore, aveva osato porre fine a un sistema che finora ha fatto sì che gli Stati Uniti siano tra i principali paesi per numero di Premi Nobel e innovazioni scientifiche.
Oggi, questo sistema è a un bivio.